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Sappiamo che l’uomo da sempre ha utilizzato i suoni per comunicare, esprimersi e entrare in relazione con gli altri e con il mondo. La musica delle varie civiltà è cresciuta assieme agli uomini di ogni tempo e cultura e da essi è stata tramandata. Purtroppo di tante forme non possiamo avere testimonianza poiché la musica è scritta dall’anno Mille, ma sicuramente l’uso del suono ha sempre accompagnato l’uomo nei vari ambiti di vita, quali la caccia, i riti, gli eventi, le danze, etc.

Parlare di musicoterapia significa però chiamare in causa un aspetto particolare della musica, ossia la sua potenzialità ed efficacia nelle relazioni di aiuto. Per chiarire meglio, la musicoterapia può essere definita come disciplina che utilizza la musica e gli elementi musicali per promuovere il benessere e migliorare la qualità della vita delle persone, qualsiasi situazione stiano vivendo, con l’utilizzo del fare musica (musicoterapia attiva) o dell’ascolto passivo (musicoterapia ricettiva). Tra i numerosi campi di applicazione, uno dei più interessanti e innovativi indubbiamente è l’utilizzo della musica nella sordità. Questo approccio è stato sviluppato e perfezionato ormai quaranta anni fa da Giulia Cremaschi Trovesi, musicista e musicoterapeuta, fondatrice della FIM (Federazione Italiana Musicoterapeuti), una delle figure di spicco nel panorama della musicoterapia in Italia e nel mondo.

Giulia Cremaschi Trovesi

Giulia Cremaschi ha dedicato gran parte della sua vita proprio allo studio delle possibilità del suono con i bambini con disabilità uditive. A partire dalle prime esperienze con persone sorde, agli inizi degli anni Ottanta, la musicista ha compreso che, paradossalmente, dal suono non potevano essere esclusi proprio coloro che, per un deficit sensoriale acquisito alla nascita, non potevano ascoltare. Ha capito infatti che la sordità conduceva all’isolamento, trascinando le persone in altre patologie collegate al non avere una vita di relazione.
E cosi, per una sua intuizione e fiducia nelle potenzialità dell’essere umano, nel lavoro in musicoterapia con i bambini sordi, la cassa armonica del pianoforte a coda è divenuta la ‘palestra’ sulla quale giocare, cantare e interagire con attraverso l’ascolto empatico e l’improvvisazione musicale, permettendo al bambino di ascoltare e sentirsi ascoltato, poiché protagonista della musica che prende vita nel dialogo musicale, come fosse una ‘partitura vivente’.
Il pensiero portato avanti da Giulia in questo lavoro si basa sulla premessa che la musica, anche quando non viene ancora percepita a livello uditivo, può essere vissuta attraverso le vibrazioni e il movimento, in modo naturale e spontaneo, riportando il bambino alle memorie prenatali. Tutti bambini possono imparare ad ascoltare perché le prime esperienze con il suono, accomunando tutti, sono avvenute dentro il grembo materno, la ‘Prima Orchestra’.

In questo modo, comunicando fiducia ai bambini e alle famiglie e approfondendo nel contempo gli studi sul suono, ha potuto dimostrare che tutti, anche i bimbi sordi, ancor prima di ascoltare con le orecchie, vengono raggiunti dal suono attraverso la risonanza corporea e che imparando ad ascoltare in modo globale potevano migliorare tantissimo anche l’ascolto delle frequenze più acute, quelle amplificate dalle protesi acustiche, e sviluppare un buon linguaggio spontaneo.
Tecnicamente ciò si spiega con il fatto che le onde sonore, a seconda della frequenza e delle dimensioni del corpo che le produce, risuonano non solo nel timpano ma anche nel resto del corpo che, nel caso dei bambini sordi, è perfettamente funzionante. Questo fenomeno non riguarda solo persone con problemi di udito ma tutti noi, che costantemente veniamo raggiunti dai suoni anche attraverso il corpo.
Quindi anche i bambini sordi, come tutti gli altri, inizialmente possono “percepire” la musica attraverso il corpo, sperimentando le vibrazioni generate dagli strumenti musicali acustici, ossia dotati di cassa armonica, in particolare dal pianoforte. Contemporaneamente vengono anche stimolati anche a discriminare suoni con frequenze più acute attraverso protesi e impianti cocleari. Per loro è ancora più importante essere motivati all’ascolto e all’attenzione ai suoni, partendo dal gioco sul corpo e fino a scoprire che il suono genera piacere, relazione e attenzione.

Se è vero che il bambino comincia ad ascoltare da quando è nella pancia della mamma, è anche vero che il mondo sonoro dopo la nascita offre al bambino tanti stimoli per ritrovare e riconoscere i suoni già sentiti e metterli in relazione con il prima, ossia di sviluppare una memoria uditiva e la possibilità riprodurre i suoni nel nascente linguaggio verbale.
In questa fase il lavoro in musicoterapia, che può essere fatto anche in modo molto precoce, a pochi mesi di vita, affianca quello della logopedia e sostiene e accompagna il bambino nella sua esplorazione spontanea e lo conduce a strutturare sempre più il linguaggio verbale.
A tale scopo l’uso di filastrocche cantate e ripetute fornisce un terreno prezioso sul quale il bambino imprime le sue prime paroline, nel gioco di relazione con l’adulto che lo asseconda e lo rispecchia e prende consapevolezza delle sue possibilità espressive e della sua voce.
Sottolineo inoltre che la voce cantata utilizza molte frequenze un più di quella parlata e che insegnare a cantare a un bambino sordo significa aiutarlo ad avere una voce più bella e ricca di armonici.
Gli ausili acustici che nel tempo si sono raffinati attraverso la tecnologia, passando dalle protesi acustiche agli impianti cocleari, hanno certamente permesso di raggiungere buoni risultati: quello che la musicoterapia offre, in più, è la possibilità di includere il corpo nell’ascolto, di armonizzare, di recuperare la spontaneità e il gioco con i suoni che è alla base del movimento, del linguaggio e del canto e soprattutto permette di imparare giocando e rispettando i tempi e le caratteristiche di ogni bambino.
Il compito del musicoterapeuta è quindi quello di stimolare, scuotere, motivare, armonizzare, trasmettere fiducia attraverso gli elementi creativi, artistici ma anche quelli più scientifici della musica che unisce sempre la melodia al ritmo, l’espressività a una durata, fondendo aspetti diversi in una sola esperienza.
Tutto ciò è possibile se si instaura con il bambino una buona relazione, che è sempre Il primo obiettivo del percorso di musicoterapia. La relazione poi sostiene il bambino nella sua intenzione e desiderio di guardare, ascoltare, provare. Quello che si fa con un bambino in Musicoterapia Umanistica è generare l’attenzione e la voglia di ascoltare e poi di raccontarsi, ossia di parlare, di comunicare.

Scrive Giulia Cremaschi: ‘Senza un interlocutore non ci può essere il dialogo. Un uomo, da solo, non avrebbe potuto parlare. Gli uomini hanno dato vita alle parole. L’essere in gruppo, lo stare, il condividere con gli altri è ciò che chiamiamo “vita di relazione”. Ciò che crea la relazione è il dialogo. Sono passati i tempi delle disquisizioni (ovviamente verbali), sul dialogo verbale e non verbale. Dovrebbe essere chiaro per tutti che il verbale è intriso di non verbale, che il non verbale sfocia nel verbale. La parola è l’essenza del dialogo’.

Per fare questo è necessario creare un contesto di ascolto e di fiducia in cui sono coinvolti anche i genitori i quali partecipano attivamente alle sedute e che sono invitati a ‘rubare’ qualche astuzia o segreto al terapeuta su come porsi con il proprio figlio.
Il ruolo del genitore in questo metodo è molto importante poiché il bambino cresce insieme al suo contesto e alle persone che si occupano di lui e diventa un cammino da fare insieme poiché accanto alle cose ‘tecniche’ ci sono le emozioni e le emozioni sono quelle che danno la forza e la spinta a tutto.

I risultati conseguiti in tanti anni da Giulia e dai suoi allievi riguardano bambini che hanno migliorato molto l’ascolto, il linguaggio verbale, il fraseggio, che hanno imparato a cantare e qualcuno a suonare uno strumento musicale, anche a livello di conservatorio (si veda ad esempio il caso della violoncellista sorda Giulia Mazza) ma soprattutto bambini che sono diventati anche adulti più sicuri di se stessi e più sereni poiché sono stati valorizzati e incoraggiati nonostante il deficit.
Il bambino viene sempre e comunque ‘messo al centro’ e proprio per questo motivo questo modello è stato definito poi Musicoterapia Umanistica.
In seguito Giulia ha esteso il suo lavoro anche a bambini con tante altre patologie, dimostrando l’efficacia della musicoterapia nel migliorare la qualità della vita e la comunicazione di persone con diverse disabilità. Il suo contributo rappresenta un passo significativo verso un approccio terapeutico inclusivo e innovativo.
Giulia Cremaschi Trovesi, all’età di 83 anni, suona il pianoforte e lavora ancora con i bambini, ai quali ha dedicato tutta la vita. Negli anni ha pubblicato numerosi libri e articoli sul suo metodo, contribuendo alla diffusione della musicoterapia e della Risonanza Corporea a livello internazionale. Ha tenuto conferenze e workshop in vari paesi, condividendo le sue conoscenze e esperienze con altri professionisti del settore anche in Europa nell’intento di delineare un riconoscimento per la figura del musicoterapeuta in Italia, impegnandosi attivamente anche sotto questo profilo con le istituzioni italiane e conservatori. Dal suo sforzo sono nate diverse iniziative e il riconoscimento di una Certificazione Uni per chi svolge la formazione e professione sotto il controllo di una Federazione accreditata. La sua dedizione e passione per la musicoterapia hanno ispirato molti altri terapeuti suoi allievi a proseguire il suo cammino, iniziato da lei stessa come pioniera.
È stata di stimolo per aprire un importante dibattito sulla musicoterapia in Italia. Ha fondato una sua Scuola di Musicoterapia per formare altri giovani musicisti in questa disciplina.
Essa ha dimostrato e ancora dimostra che la musica può essere un potente strumento di comunicazione e connessione, capace di superare i limiti imposte dalla patologia e di arricchire la vita delle persone con elementi che vengono dall’arte: la creatività, l’atteggiamento esplorativo, la fiducia in se stessi e l’autostima.

Nicoletta Bettini, Musicista e Musicoterapeuta, socio di Fim (Federazione Italiana Musicoterapeuti). Diplomata in Music-Therapy presso l’University of Bristol, lavora da più trenta anni con bambini e ragazzi sordi.

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